Impressioni Jazz "
Argentina Latente" (2007)
di Pino Solanas
Recensione
ARGENTINA LATENTE / SE PUEDE
ARGENTINA LATENTE (2007)
Può l’Argentina tentare una nuova via per la sua ricostruzione? Questa è la
domanda chiave, nel lucido viaggio, in un’introduzione e sedici capitoli
di atipici reportage, tra poli industriali e scientifici d’eccellenza e fuga
dei cervelli; nella robotizzazione della Ford come nella fabbrica di idee, dove
lavoro industriale e creazione artistica convivono; dai lavoratori espulsi dal
mercato che, in cooperativa, usano il loro sapere accumulato, innovando, al varo
di una nave costruita da un’impresa di trasporti ritornata allo Stato; da
Còrdoba a La Plata, Buenos Aires… Un’Argentina latente e nascosta, post Menem,
che si risolleva dalle devastazioni della cura neoliberista delle
privatizzazioni ( approfondite nei precedenti: Diario del saccheggio
(2001) e La dignità degli ultimi (2005), e che dal progressista governo
Kirchner s’aspetta risposte concrete. Una straordinaria selezione di immagini,
tra foto, riprese attuali e d’epoca, memoria storica e testimonianza di un
presente, in cui Fernando Solanas ci introduce con la sua voce off o come
intervistatore, delineando l’anima di quel popolo e la sua forza di voler andare
avanti. Mappa dilatata, che non si svela per semplice sommatoria, ma sinergico
dialogo interno, in una struttura che rimane comunque aperta e che interroga sul
futuro. Ed è impressionante come da un’operazione anche didattica, egli sappia
affondare fin dentro l’uomo, nei suoi sentimenti più profondi. L’informazione si
mescola con la vita, e raggiunge momenti di grande intensità. I ricordi del
figlio di un desaparecido, che ha fondato una cooperativa basata sul consenso;
l’impari lotta di insegnanti tra bambini difficili, affamati, che non vedono
futuro e gli antinomici invasivi modelli della TV; o ancora, l’orgoglio per il
successo di un’ impresa, a fianco di amici da una vita, mentre il pensiero per
chi non ce l’ha fatta è ancora ferita aperta…
Tutto viene assemblato e ricomposto, da Solanas, in un road movie che pulsa di vita vera e non lascia il tempo per uno sbadiglio. Non c’è plot, né suspence, niente scorre dritto verso il finale, perché non c’è storia, ma le storie, ciascuna indispensabile. I tempi morti concorrono imprescindibilmente a ricostruire il tempo della vita e all’immagine spetta l’ultima parola della comunicazione. Sentimento del poeta che la trattiene finché non è tempo di lasciarla andare. Ritmo e misura, per non trascurare l’importanza profonda, per non debordare. Solanas rende visibile ciò che non fa audience, riconosce dignità a chi viene ignorato. Tratti di un cinema in cui il regista è maestro, fedele a sé stesso e alla sua idea di impegno, etico e militante, sin dal suo esordio, nel 68, con l’acclamato L’ora dei forni ( sul Che), col manifesto Verso un terzo cinema, con Octavio Getino… In un intreccio con la sua storia personale di esiliato dopo il golpe dell’76, d’oppositore sempre critico, anche da deputato, verso Menem (verrà gambizzato in un attentato). Apprezzatissimo in America Latina, ma anche in Europa, sin dall’85 a Venezia con Tangos. El exilio de Gardel, la Palma d’oro per la regia con Sur (1988), Il viaggio, Cannes (1992) e l’Orso d’oro alla carriera del 2004. Los Hombres que Están Solos y Esperan, attualmente in lavorazione, concluderà la sua tetralogia sull’Argentina.
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno VI n° 1 - Gennaio/Febbraio 2009