Impressioni Jazz " Barking water " (2008) di Sterlin Harjo Recensione
FATICOSO ON THE ROAD VERSO I VERDI PASCOLI
BARKING WATER
A volte la delicatezza estrema è la cifra stilistica di un film. Anche di fronte ai temi più difficili e scabrosi. La malattia, la consapevolezza della fine di una vita. In questa pellicola on the road un uomo, un pellerossa, è accompagnato nell’ultimo viaggio, lungo le strade dell’Oklaoma, dalla donna che ha sempre amato. Tra tramonti accecanti, praterie, incontri e riconciliazioni. E’ faticoso trasferirsi là, nei verdi pascoli dove per sempre sarà felice. Prima c’è la figlia da riabbracciare, per far pace. Sguardi e silenzi, dialoghi scarni e molta bellissima musica, dentro la macchina scassata della coppia, durante l’andare, e tutto è così vero che sembra di essere lì insieme a loro.
Una ricerca di autenticità che Sterlin Harjo, regista d’origine Seminole e Creek, persegue girando in piena libertà, modificando e aggiungendo secondo intuizioni e suggestioni. E’ un fare cinema che si mescola con la vita, tra la gente e sui luoghi che egli conosce bene… Ponca City, White Eagle, il minuscolo territorio della riserva indiana Ponca,, inquinato dalla fabbrica di carbonio nero ( usato per fare le gomme), dove il cimitero sacro convive con la discarica e l’aria infesta di polvere nera, e poi Pawhuska, Holdenville e Wewoka ( Barking water in lingua Myskoke ). I Bravissimi Richard Ray Whitman e Casey Camp-Hořínek, ( impegnata attivista ambientale Ponca che vive proprio a White Eagle), sono l’anomala coppia, Frankie e Irene, destinata a rimanere nella memoria per questo affascinante e profondo viaggio di libertà. Dentro sé stessi e verso la Wewoka delle origini. Tra flash back di un passato di Frankie che riluce, sogno ad occhi aperti di momenti indelebili con la sua donna, con la sua musica, i cori in chiesa… e un presente che è corsa contro il tempo, contro il dover morire in un letto d’ospedale. Dove lo struggente sguardo contemplativo del congedo verso le cose amate offusca per importanza qualsiasi contingente, anche la gravità di un cancro contratto su una terra e un’aria malsana. Un film che sa elevare il dramma personale a dimensione umana esistenziale e della cultura di un popolo, quotidianamente costretto a soffrire tra le contrapposte ragioni dell’identità e dell’integrazione. Presentato a Venezia 2009, secondo lungometraggio scritto e diretto dal quasi trentenne regista che già dal 2005 si fece apprezzare al Sundance col suo corto Good Night Irene.
Silvana Matozza, Guido Bonacci
Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno VI n° 5 - Settembre/Ottobre 2009