Impressioni Jazz " Birdwatchers " (2008) di Marco Bechis Recensione
LA RETOMADA PER
TORNARE A VIVERE
BIRDWATCHERS / LA TERRA DEGLI UOMINI ROSSI
Brasile. Mato Grosso do Sul. Che male c’è ad andarsene in canoa lungo un solitario fiume per ammirare gli uccelli rari? E se in quel silenzio di natura selvaggia e vergine, capitasse di vedere anche qualche selvaggio in carne ed ossa, con tanto di arco e frecce, non si avvererebbe quel surplus di brivido esotico vagheggiato da moderni turisti- esploratori? Un’iconografia naturale ben stampata nelle menti occidentali ( dalle antiche stampe come dal cinema), che il regista Marco Bechis non fatica a smontare. Basta abbandonare il binocolo e guardare da vicino, entrare su quella terra, in mezzo a chi la abita, tra diritti esibiti e diritti violati. Nel dramma umano che vi si consuma ogni giorno. E allora le immagini cambiano, lo spazio si allarga, e gli indiani diventano gli isolati protagonisti di un nulla che li circonda. Perché non c’è niente di esotico nella spogliazione, nella radura terrosa in cui sono confinati i Kaiowà, popolo Guarani, privato d’autosostentamento, dei loro raccolti, della foresta che si riduce per far posto a mandrie di buoi… Come prosaico (e dejà vu) è il furgone del tuttofare- caporale Dimas ( M. Nachtergaele) che li trasporta verso i campi di canna da zucchero delle fazende, dove col lavoro delle loro braccia appena si sfamano, mentre i soldi ritornano nelle tasche già piene di coloro da cui dipendono… Storie del passato e del presente, e non solo di remoti latifondi latinoamericani (semi-schiavitù degli immigrati in Puglia, per es.). E allora, quale futuro per i Kaiowà? Con i giovani che sempre più spesso imboccano la via del suicidio? Contro quest’estinzione annunciata, una mattina, Nadio ( Ambrosio Vilhalva, volto che parla e buca lo schermo), con lo sciamano (Nelson Concianza), si deciderà ad uscire dalla riserva e rivendicare l’antica terra tribale. Il Brasile è l’unico Stato sudamericano, insieme al Suriname, a non riconoscere questo diritto. La retomada di Nadio (leader di uno degli attuali movimenti di occupazione delle terre, a cui il film si ispira), e del suo gruppetto destinato a infoltirsi, avrà il suo campo base sulla terra di confine e di tutti. Proprio di fronte alla proprietà privata del fazendeiro (L. Medeiros), l’antagonista legittimo erede della loro terra, su cui lussuosamente vive con moglie e figlie. Due realtà di vita contrapposte, storie parallele allo specchio che si incroceranno, si guarderanno e convivranno. E un tempo sospeso. Con l’arrogante fazendeiro che in attesa di una via legale incerta, scalpita tra intimidazioni agli occupanti e i malumori della consorte (C. Caselli); l’ospite-guida dei beachwatchers che ostenta condizione di privilegio e vago sentimento umanitario (esiste anche un turismo più rispettoso!). Mentre fuori dalla fazenda si svilupperanno incontri. Per la pigra disponibilità di Spaventapasseri ( C. Santamaria), lo stralunato e ridicolo guardiano, controllore-controllato dagli indiani. Per istintiva curiosità reciproca, tra un’annoiata figlia del fazendeiro e Osvaldo (il bravissimo Abrisio Da Silva Pedro), giovane apprendista sciamano che sogna il futuro… Zone di conflitto, di ambigua compromissione (tema caro a Bechis). E se la diversità dell’altro sarà anche superabile, non lo saranno affatto gli interessi contrapposti. Un film duro che non rinuncia alla speranza. Fotografia e musica di grande impatto. In concorso a Venezia 2009, scritto con Luiz Bolognesi (collab. L. Fremder), e girato con la collaborazione della popolazione indigena.
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno VI n° 5 - Settembre/Ottobre 2009