Impressioni Jazz " Buddha collapsed out of shame " (2007) di Hana Makhmalbaf Recensione
IL FUTURO IN UN QUADERNO DI SCUOLA
BUDDHA COLLAPSED OUT OF SHAME
A una certa maniera, ben confezionata come un pacco regalo, lo sguardo dello spettatore è ormai così avvezzo che un linguaggio diverso può provocare disagio, perché quel film non sembra fatto nel modo“giusto”. Il primo lungometraggio diretto da Hana Makhmalbaf appartiene a questa categoria, apparentemente elementare nella regia e nel montaggio, didascalico nelle metafore. In realtà le immagini restano nella memoria , come la storia di Bakhtay (Nikbakht Noruz), che vuole andare a scuola, imparare a leggere e scrivere, per conoscere “tante storie divertenti”. Una fissità d’immagine, che si apre su luoghi aridi e desolati, rimanendo chiusa, circoscritta, dove la tonderotta bambina, espressività di un volto più che di una recitazione consumata, cattura lo sguardo e trasferisce emozioni. Le sue vicissitudini, semplici e avventurose, nell’indifferenza degli adulti, tra povertà, durezze della sopravvivenza e separazione dei sessi, sono uno squarcio sulla realtà afgana post bombardamenti, infantile ma non solo, e sullo scomodo tema del fondamentalismo talebano, della guerra, che radicalizza lo scontro mentre fa piazza pulita di arcaiche contaminanti culture. Una piazza liberata dai Buddha (nel 2001), la valle di Bamiyan, che diventa scenario delle nuove condizioni di vita . Mimate dal gioco, ma non per questo meno crudeli, da bambini che imitano gli adulti nella guerra come nei ruoli, in cui le bambine diventano prigioniere in disparte. E nulla può Abbas (il bravissimo Abbas Alijome), coetaneo vicino di casa che ogni giorno va a trovare Bakthay, segregata nella sua casa-grotta a badare al fratellino; il solidale amico che con il suo quaderno di racconti buffi le regala sorrisi, la incuriosisce, le fa sorgere il desiderio di imparare qualcosa di diverso che allarga la mente mentre diverte. Un film che non mostra la guerra ma le sue conseguenze e per questo forse è ancor più duro. E la paglia che dispersa nell’aria brilla al sole confondendo la vista, si fa richiamo-esortazione contro un destino tragico, che incombe su un futuro che è già l’oggi. Sguardo di una regista iraniana sulla condizione di genere, tra i sessi nella società e nella cultura Afgana. Tra leggerezza e pathos, di grande forza e delicatezza. E’ la terza, e internazionalmente molto apprezzata opera della singolare diciottenne figlia di Mosen Makhmalbaf (che alla sua scuola ha studiato), scritta dalla madre, la regista e sceneggiatrice Marziyeh Meshkini. Premio Unicef “ Paolo Ungari”. Festa del cinema. Roma 2007
Silvana Matozza, Guido Bonacci
Articolo pubblicato sulla rivista cultura e spettacolo Vespertilla, anno V n. 2 Marzo / Aprile 2008