Impressioni Jazz " O' Jerusalem " (2006) di Elie Chouraqui Recensione
UN’INVOCAZIONE DI PACE
O’ JERUSALEM
Film la cui dichiarazione d’intenti è resa esplicita sin dal titolo, la pace per Gerusalemme: città santa per ebrei, cristiani e arabi. Invocazione, atto di fede di un regista, Elie Chouraqui ( anche sceneggiatura, con D. Lepecheur ), che raccoglie idealmente il testimone da Gerusalemme! Gerusalemme, il libro da cui il film è tratto, e che in chiusura riproporrà lo stesso salmo di Davide con cui termina il romanzo storico di Dominique Lapierre (scrittore che impegna la propria vita e le proprie royalties a scopo umanitario, che ha conosciuto Madre Teresa di Calcutta ) e di Larry Collins (recentemente scomparso). Terzo libro dei due co-scrittori che diventa film. Pubblicato in prima edizione nel ’71, aveva sfiorato in varie occasioni l’opportunità di essere tradotto in pellicola ( ci fu, tra gli altri, anche l’interessamento di Costa Gravas).
Un soggetto che Chouraqui, appena gli è stato proposto, ha sentito di voler fare subito, un “qui” e “ora”, oltre ogni perplessità. Avvertendo l’urgenza del tema ogni giorno più caldo e una passione che in realtà il regista riesce a imprimere al film e a comunicare. In esso appare palese anche l’altro intento, quello divulgativo, didattico, ovvero riportare alla memoria fatti di un periodo che ha segnato ogni sviluppo futuro nell’area mediorientale. Quelli che ruotano intorno alla storica data 29 Novembre 1947, in cui l’assemblea ONU delibera la divisione della Palestina in due stati: uno ebraico e uno arabo, sotto mandato inglese, e uno status internazionale per la regione di Gerusalemme e Betlemme. Impresa questa di Chouraqui che diventa assai improba, quando, come lui si sforza di fare, si tenta la via dell’imparzialità, ovvero di un terzo punto di vista, di chi in qualche modo al di sopra delle parti dovrebbe garantire obiettività ( nel film il personaggio dell’ebreo di New York, Bobby Goldman) e che lo porta ad equilibrismi, nella ripartizione di azioni positive e colpe, che non si traducono automaticamente in garanzia di neutralità. L’aspetto che invece appare significativo è quello di aver riportato alla memoria un’epoca di speranza, le aspettative di una nuova vita, gli ideali, di aver mostrato come una fratellanza è esistita, è stata possibile, sorta di vocazione alla comprensione, nel caso dei protagonisti di questa storia, che si riconoscono come appartenenti entrambi alle medesime radici di fese monoteista. Insieme, a New York, in un primo dopoguerra pieno di ottimismo e di jazz, come in un anno sabbatico tra due guerre, Bobby (J. J. Feild), Jacob ( M. Raido) e Cathy ( M. Steenbock ) e il nuovo amico, l’arabo di Gerusalemme, Saïd Chahine ( S. Taghmaoui), si divertono, fanno progetti per migliorare il mondo, discutono mentre notizie di combattimenti continuano ad arrivare dalla Palestina; il regista rende volutamente intensa quest’atmosfera appassionata e corale ( ricreata anche con filmati d’epoca, o con una fotografia retrò) di condivisione. Momento irripetibile, il cui ricordo non farà mai diventare Bobby e Saïd nemici fino in fondo. In Palestina poi le circostanze trascinano alla divisione e alla lotta. Alla fine il legame dei due amici ( ma potrebbe anche essere tra due popoli), nonostante i giorni di sangue e di dolore, può essersi allentato, ma non è mai stato reciso. La rinnovata amicizia, anche se messa a dura prova, è pronta a riaffiorare, come avviene anche tra i due popoli, in una prima tregua. Che non dura. E in questo senso, il film è un’esortazione anche ad ascoltare la volontà che nasce dai sentimenti, oltre gli interessi e il realismo politico, del quale in realtà ci dice ben poco. Lo stile che va poco oltre il film di genere; come in questo film; chi finisce col morire è il solito ingenuo, il debole o una donna coraggiosa e disperata, mentre risulta lodevole lo sforzo di non far perdere lo spettatore in una palpitante immedesimazione nelle scene di battaglie, più o meno eroiche, che il regista interrompe prima del momento in cui il pathos conduce all’identificazione. Con Jan Holm nel ruolo di Ben Gourion, Tovah Fedsush di Golda Meir e Peter Polycarpou di Abdel Khader; le tre figure di maggior rilievo, in cui compare in una parte anche lo stesso regista.
Silvana Matozza, Guido Bonacci.
Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno V n° 1- Gennaio/Febbraio 2008