Impressioni Jazz " Opium War " (2008) di Siddik Barmak Recensione
QUANDO LA GUERRA NON E’ VISTA DAL CIELO
OPIUM WAR Afganistan. Sabbia e
silenzio. Ovvero, la guerra vista non dall’aria ma dal più remoto lembo di
deserto dove lo schianto di un aereo condurrà due militari americani. Il
comandante Don Johnson (Peter Bussian), con una gamba ferita e l’afroamericano
Joe Harris ( Joe Suba), che quasi miracolosamente vivi si risvegliano e si
mettono alla ricerca di una loro base. Un arrancare sotto il sole che picchia
duro, durante il quale della guerra non troveranno che simulacri, carcasse di
residuati bellici, anche ineditamente riciclati, e che rivelerà varie sorprese.
Sorta di temporanea vacanza dai doveri, con la complicità dell’oppio, che
lenisce i dolori e allenta le inibizioni. Grazie all’aiuto di una famiglia
abitante in un carro armato conquistato, i due si troveranno a
sopravvivere in un mondo a loro assolutamente sconosciuto. Del quale, in realtà,
non sembrano capire molto; ma neanche lo spettatore riesce a focalizzare troppo
i due personaggi, sbiaditi nonostante il clima da commedia quando non da farsa,
provi ad accentuarne i contorni, mentre scollature di ritmo finiscono per
pesare. Un film che puntando apparentemente sul punto di vista dei due naufraghi
in terra ostile, sulla comunicazione, conoscenza e convivenza
col nemico, rivela, di fatto, lo sguardo di chi quella guerra la subisce. E
tutto allora torna; l’oppio, e la difficile sopravvivenza di chi il conflitto lo
guarda da lontano, lo subisce come l’ennesima scure abbattutasi sulla propria
esistenza, abituato a conviverci aspettando che passi anche questo. Che
ne abbiano visti tanti lo conferma il cimitero di croci straniere dei soldati
morti e da loro seppelliti. Nessun passo avanti ma l’arroccamento, il
riprendere giocoforza ruoli tradizionali non più condivisi, unico modo
conosciuto per sopravvivere. Straordinaria la figura e la bravura del
ragazzino, precocemente adulto che si dovrà far carico della numerosa famiglia,
a sostegno di un patriarca stanco e invecchiato come da millenni di
sopportazione e sopraffazione, che se ne andrà di colpo una sera incontro alla
notte. Risvolti pesanti di una guerra estranea che lascia le donne in una
condizione di illibertà: la figlia più giovane, proprietà paterna, seppur a
malincuore verrà venduta in sposa per pagamento di debiti. Per lo scarso
raccolto di oppio, conveniente per chi acquista, non per i coltivatori, ma che
senza altri aiuti, rimane comunque l’unica via di sopravvivenza. Mentre della
democrazia qui arrivano solo urne elettorali, in cui inserire nomi che i
contadini non sanno neanche scrivere.
Anche se un messaggio finale di speranza
si vuole comunque immaginare…lo ribadisce lo stesso regista presente in sala,
che cita Nietzsche e humour nero come chiave di lettura di tanta tragedia.
Scritto, diretto, montato e prodotto dall’afgano Siddik Barmak, presidente
dell’Associazione dei Registi Afgani, Golden Globe per Osama (2003). Marco
Aurelio d’Oro. Festival internazionale del film di Roma 2008.
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno V n° 5- Novembre/Dicembre 2008