Impressioni Jazz " Racconti da Stoccolma " (2007) di Anders Nilsson Recensione
UN CORAGGIOSO SGUARDO SULLA SOCIETA’ SVEDESE
RACCONTI DA STOCCOLMA
La violenza, allude Anders Nilsson, non ha colore, religione, ceto sociale o nazione. Ed è sempre sopraffazione su chi viene considerato più debole: le donne, gli omosessuali. La civile e solidale Svezia non ne è immune e, come tutti i paesi ricchi, deve fare i conti coi nuovi tempi, tra residuati di cultura maschilista, immigrazione, cultura dell’accoglienza e nuove regole del mercato globale. Tre casi esemplari basati su fatti realmente accaduti, che tra i tanti di ordinaria violenza, sono usciti dall’oscurità del privato per entrare nelle aule giudiziarie. Tre storie di coraggio, di Leyla, di Karina e di Peter, trovano luce e respiro nel momento dell’assunzione di responsabilità, della denuncia sofferta e rischiosa. Clima in cui il regista (sceneggiatore con Jookim Hansson), conduce lo spettatore in un crescendo di tensione da atipico thriller realistico, d’impegno sociale, che non punta al brivido tra dettagli e primissimi piani da paura, ma più sofisticatamente fa crescere il malessere nell’ambiguità, nel senso di disagio, di paura che si insinua tra spazi domestici o per strada, in una normalità quotidiana che si colora di assurda intensità. Luci e ombre, nella fotografia di Per-Arne Svenson, in cui il dramma si consuma e si nasconde. La stessa sera iniziano tre storie parallele, intorno al concetto dell’onore. Quello di una benestante famiglia immigrata, mediorientale e cristiana, che difende la propria rispettabilità all’interno della comunità d’origine; di un marito giornalista, maschilista e violento, che si vede sopravanzare nella carriera dalla moglie e collega; di un gruppo di balordi e violenti che si accanisce contro un omosessuale. Identità vacillanti che si aggrappano a rigidi ruoli sociali in una società che faticosamente si trasforma cercando di elaborarne di nuovi. Preservare la rispettabilità diventa l’obiettivo primario e il costo è sempre un sacrificio. Più straziante nonché più riuscita, perché più ispirata, è la storia di Leyla ( Oldoz javidi) sorella minore di Nina, puttana a causa dell’innocente amicizia con un compagno di scuola, che l’intero gruppo parentale ha deciso di condannare a morte. Come in un film gangsterico: tra il sorriso del perdono e l’ora della punizione. Indimenticabile la scena notturna sull’autostrada in cui Nina, animale in trappola, viene inesorabilmente invitata a un attraversamento mortale. Che immediatamente richiama quella, ugualmente insostenibile, in Border Town, di Gregory Nava. Leyla (Oldoz Javidi), Karina ( Lia Boysen) e Peter (Per Graffman) sono un po’ i nostri eroi, testimoni che scelgono di rompere il muro del silenzio a favore delle regole di convivenza civile. Le violenze tra le mura domestiche sono frequenti nei nostri TG ma per lo più assenti nella nostrana filmografia. Dalla comunque evoluta Svezia il bravo e coraggioso Nilsson ha saputo spalancare le porte, segnalandone il livello di guardia. Premio Amnesty Internazional. Berlino 07.
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista cultura e spettacolo Vespertilla, anno V n. 3 Maggio / Giugno 2008