Impressioni Jazz " Ai no yokan " (2007) di Masahiro Kobayashi Recensione
AI NO YOKAN
L’altoforno di una fabbrica, terribile per fiamme e frastuono, e un operaio dal viso triste che lo alimenta insieme ai suoi compagni di lavoro. Poi torna nel suo alloggio, si lava, va a mensa, mangia (tra operai-zombie come lui), ritorna in camera sua; ne vediamo i gesti, ripetitivi e quotidiani. Una donna lavora per la stessa mensa, prepara i cibi (ma non per sé!), li sistema su un vassoio, esce per comprarsi un pasto freddo , si ritira nel suo alloggio. Tutto si ripete il giorno dopo, quasi in modo identico, e ancora, ancora, ancora. Come un’unica sequenza di montaggio di un’interminabile giornata; dall’immobilità della macchina da presa all’espressione del protagonista, fino alla sua posa mentre si consegna alla visione dello spettatore, di fronte, in un tu per tu muto, imbarazzante. Difficile da reggere per il pubblico, qualcuno si spazientisce, non capisce. Ma quanto durerà? E proprio qui sta il punto. Quanto può durare la sofferenza di un padre che ha perso la figlia? Quando sarà in grado di guardare in faccia chi gli ha procurato tanto dolore? L’uomo, il cinquantenne Junichi ( il regista stesso, Masahiro Kobayashi), è il padre di una adolescente uccisa da una coetanea ( che non vedremo mai!), l’altra è invece la madre dell’omicida, Noriko (Makiko Watanabe). Tra loro un incontro, da lei richiesto, pubblicamente rifiutato. Solitudine e perdono, i due temi che vanno di pari passo, col silenzio a scandire il tempo dell’ attesa, quello di chi deve concedere e di chi aspetta, e il sospetto che non arrivi mai. Ma che cosa sarebbe l’esistenza umana se ridotta alla pura ripetizione di quotidiani gesti? E ancora, mentre l’uomo alimenta la vita della fabbrica, che cos’è che dà vita all’uomo?... Questo bel film, irritante nei contenuti e provocatorio nello stile, radicale, asciutto e dalle immagini potenti, riesce a farcelo sentire. Attraverso Noriko e la sua intima ribellione al desolante insostenibile vuoto da assenza di comunicazione e di intimità ( tema nevralgico e ricorrente nella poetica del multipremiato film maker nipponico). Lei che, mentre sopporta il peso del dolore, non smette di sentirsi responsabile anche per quello dell’altro, e continua a ricercare l’incontro che solo potrà preludere ad un perdono. Interesse sincero che dà calore, mostrando alla lunga tutta la sua forza rigenerante…Tra non violenza e sentimento zen. In un Giappone post industriale, fioco e plumbeo, in cui il simbolo della Coca Cola troneggia e il senso del legame tra esseri umani si perde, la vita inaridisce e i gesti si fanno inconsulti, mentre nel disorientamento perfino il riuscire a leccarsi le ferite sfiora l’eroismo. E’ significativo che nella recente cinematografia internazionale, un’urgenza tematica quale recupero di dolore – colpa – espiazione, sembri rincorrersi da un film all’altro ( Espiazione ha aperto Venezia 2007). Pardo d’oro a Locarno 2007.
Silvana Matozza, Guido Bonacci
Articolo pubblicato sulla rivista cultura e spettacolo Vespertilla, anno IV n. 4 Settembre/Ottobre 2007