Impressioni Jazz " la schivata " (2004) di Abdellatif Kechiche Recensione
LA SCHIVATA
Abdellatif Kechiche,
regista di fine sensibilità, ama i suoi personaggi, sa farli brillare, come un
amico, ne cattura sguardi, respiro. Primi e primissimi piani, dettagli e campi
medi, concitazione di gesti e linguaggio, rimandano a un universo vivo,
palpitante, di individualità e sentimenti, che nascono, muoiono, si
contrappongono, sono negati, o mascherati. Non dimentica di tenere accesa una
luce su fatica, povertà, malessere del vivere, in cui il gruppo di ragazzi di
periferia si muove. Basta un’inquadratura, una mezza figura che cammina sullo
sfondo, a far sentire il peso di quel silente mondo proletario, di datata,
recente immigrazione e non, che nell’anonima landa vive, si sforza di andare
avanti.
Ben conosce, il multiculturale gruppo di adolescenti, figli di quelle fatiche che sempre hanno sotto gli occhi, come i palazzoni del quartiere in cui vivono. Franc-Mosin, periferia di Parigi, non troppo dissimile, con distinguo d’obbligo, da nostrani lembi di periferia metropolitana. Terra di confine, ov’è labile la linea che separa vite vissute tra rispetto della legge e illegalità.
Una scuola sembra unico baluardo da cui partire per un nuovo modo di star insieme, per un futuro di alternative possibili contro percorsi obbligati d’emarginazione e carcere. Intorno alla recita scolastica,“ Il gioco dell’amore e del caso”, di Marivaux, la storia prende quota tra chi è dentro, chi è un po’ fuori, chi è fuori del tutto. Protagonista, l’istintivo, immediato quindicenne magrebino, Krimo (Osman Elkharraz), colto da romantico turbamento(sì, esiste ancora in periferia!) amoroso/ormonale per la bella, bionda, allegra, socievole, compagna di classe Lydia ( la premiata Sara Forestier). Lydia- Lisette, come nella commedia, schiva un suo bacio; per lei Krimo spasima, allontana tutto: amici, amico del cuore, fidanzata, padre detenuto in attesa di giudizio. L’innamoramento confonde, sconvolge cuore e mente, scompagina progetti, rende indifesi, mentre unisce, scardina, in un prolungato stand by di cui Krimo non capisce i motivi ma, Inshalla o se Dio vorrà, rispetta, in attesa che Lydia gli dia risposta. Saranno gli altri a non accettare la semplicità del suo sentimento che non tiene conto e infrange convenzioni, regole non scritte, del gruppo e del quartiere: per una storia capace di reggersi su un respiro.
Non c’è sangue, non c’è sesso, massimo della droga un po’ d’hashish. Si seguono i personaggi perché si sente che raccontano qualcosa che c’è, esiste, come si sente volontà, urgenza di venire allo scoperto, mostrandosi.
La scena peggiore, la più emblematica, dolorosa, violenta, non la perquisizione della polizia che, estranea al quartiere, lo pattuglia, lo teme, si fa arrogante, che inevitabilmente rimanda alle schematiche scene di L’odio ( Mathieu Kassovitz, 1995). Ma il miglior amico di Krimo che minaccia, aggredisce per rimettere “a posto le cose”. Perché Kechiche non lascia indietro nessun personaggio, di tutti ci offre squarci di verità.
Premio miglior regia al 22° Torino film festival. Scritto con Ghalya Lacroix. Eccellente prova d’espressività e naturalezza degli attori.
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista cultura e spettacolo Vespertilla, anno II n. 10 Ottobre 2005