Impressioni Jazz " TULPAN. la ragazza che non c'era" (2008) di Sergei Dvortsevoy Recensione
TULPAN
Kazakhstan. Betpak Dala. L’inizio è in media res: una proposta di matrimonio all’interno di una yurta sperduta nella prateria. Secondo tradizione, rivolta ai genitori della prescelta sposa, dal giovane Asa (Askhat Kuchinchirekov), accompagnato dal cognato e un amico che ne garantiscono l’affidabilità,. Primo passo di un progetto-sogno di una sua vita da nomade, che l’ex marinaio, appena ritornato dal servizio militare in Russia, è ansioso di coronare. E passaggio obbligato, in quanto solo da sposato, con una sua famiglia, avrà anche lui diritto all’assegnazione della terra e del bestiame. Perché, a differenza dell’amico coetaneo, che è abbagliato dalla città, dalla sovrabbondanza di novità-opportunità che la modernità occidentale sembra regalare (pop music, ragazze e vita facile…), Asa da questi bagliori è rimasto sostanzialmente immune. O meglio, tutto ciò che lo attrae dell’occidente, vorrebbe realizzarlo nella steppa. In quella landa dell’anima dove sente che è la sua vera libertà e dove, in attesa, vive insieme alla famiglia della sorella Samal (Samal Yeslyamova)… Un’originale via tra tradizione e modernità che per l’impaziente ribelle romantico si rivelerà percorso di formazione tutto in salita. Perché quella vita diversa dagli altri, immaginata nell’isola felice, nella yurta tutta sua, superaccessoriata ed ecologica, calandosi nella realtà fa i conti comunque con gli altri… Il cognato Ondas (Ondasyn Besikbasov), per esempio, geloso e insofferente, perché giudica Asa troppo coccolato, troppo ambizioso e inconsapevole della sua inesperienza nel lavoro; o la vagheggiata sposa Tulpan (nonché unica nomade disponibile del vasto circondario), della quale ha finito con l’innamorarsi, che oppone pretesti e che invece di sposarsi pensa ad andare a studiare in città. Prostrante batosta per il nostro sensibile eroe, schiacciato tra comprensione per i bisogni di emancipazione della ragazza e desiderio… Mentre l’incalzare degli eventi lo porterà a confrontarsi anche con sé stesso. Con quel temperamento da vero nomade, libero e solidale, che gli chiede di inventare un nuovo sogno.
Primo lungometraggio del documentarista, Sergei Dvortsevoy (scenegg. con Gennady Ostrovskiy). Film di un’intima delicatezza. Passione per una terra, un popolo e volontà di avvicinare una realtà il più possibile dal di dentro; anche in situazioni estreme, come un branco di animali nell’infuriare di una tempesta di sabbia, ripreso da arditi movimenti di macchina. Tra campi larghi e figure stagliate nel vuoto, dettagli di fisicità, emozioni e passioni, canzoni della tradizione, suoni, versi e rumori di una quotidianità, la steppa prende forma e vita (eccellente la fotografia di Jola Dylewska). Evocando un tempo lontano, rimpianto dell’uomo moderno che contempla le profondità mai cancellate del suo remoto passato perduto. Premio Un Certain reguard. Cannes 2008
Silvana Matozza
Articolo pubblicato sulla rivista di cultura e spettacolo Vespertilla, anno VII n° 1 - Gennaio/Febbraio 2010